Anvedi Roma
10/06/2013
"Io nun ce l'ho co' Roma, ce l'ho coi romani", dice Delia/Franca Valeri alla giornalista chic/Flora Carabella da una terrazza affacciata sul lungotevere in "Parigi o cara" (1962). Questa frase rappresenta e raggruma ancora il mio pensiero sulla città, pensiero che posso permettermi di citare dato che a Roma ci sono nato ed è dove ho faticosamente vissuto infanzia e giovinezza.
Paolo Sorrentino paraculeggia con discreta efficacia nel suo "La Grande Bellezza" (smanierando in fellinismi di riporto e passando anche per "La Terrazza", film culto di Ettore Scola) in un'orgia glossy di carrelli e bracci e steady, dove la poetica della città eterna è contrapposta alla volgarità e soprattutto il cinismo dei suoi abitanti che per osmosi contagia anche il regista: sarò cattivo io, ma non ho pututo non notare come Sorrentino senza fare un plissé abbia consegnato in maniera davvero letterale le parti in commedia. E quindi c'è la soubrette in disarmo devastata da trigliceridi e botulino interpretata da Serena Grandi, la striptiseuse quarantenne e coatta capace di saggi wittismi affidata alla Ferilli, come il principe del luogo comune - che in questo caso vive una vita senza alcun successo personale - consegnato a Carlo Verdone. E poi c'è Servillo, un giornalista che gagaeggia senza alcuno sforzo fra funerali già letti in "Fratelli d'Italia", sante che si nutrono di "radici", minestre consumate dal suo direttore identico a madame Edna de "Gli Incredibili", scopate annoiatissime ed Ego scolpito sul suo cazzo malinconico di rose non colte. Il clash fra la bellezza di Roma e i suoi dicutibili abitanti dà come risultato quel romanzo sul niente che il protagonista, perlappunto, non scriverà mai in quanto lo vive. E il film slabbra in durata, come una coda di peak-hour su lungotevere.